Cesarino Grossi, quel colpo di fulmine…

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1937. L’Italia del calcio sta vivendo un periodo d’oro e si sta preparando per i mondiali in Francia che vinceremo meritatamente. Tra i papabili per un posto in Nazionale, sebbene da comprimario, c’è “Il Reuccio”, Raffaele Costantino, primo barese ad approdare in Nazionale che, però, i Mondiali non li giocherà mai.

Tornando a Bari, dopo un’entusiasmante capitolo a Roma, prima di chiudere la carriera incontra e gioca in squadra con un ragazzino: piccolo, basso, gracile, tutte caratteristiche che, nel calcio degli anni ’30 (ma anche per gli anni successivi), non permettevano di sfondare. Ma per Cesarino Grossi il discorso è diverso. Cesarino con il suo modo di correre, driblare e calciare, era riuscito a convincere addirittura Costantino che, confesserà, era sicuro fosse perfino più forte di lui.
Il 18 Aprile del ’37 esordisce a San Siro contro la fortissima Ambrosiana Inter o, per lo meno, cerca di esordire. Cesare ha 20 anni ed è alto 166 centimetri, ha ancora la faccia da bambino e, come detto, il corpo gracilissimo. Mentre le squadre scendono in campo, viene bloccato da alcuni dirigenti nerazzurri, “tu non entri, non stiamo giocando”. Tutti pensavano fosse un bambino, uno di quelli che cerca di infiltrarsi tra i giocatori per calcare il palcoscenico di San Siro, e se non fosse stato per i dirigenti dell’allora Unione Sportiva Bari, tra i quali l’allenatore austriaco Tony Cargnelli, Cesarino quella partita non l’avrebbe mai giocata e, probabilmente, non sarebbe mai diventato titolare inamovibile. Sì, perché in quella partita i difensori della fortissima Ambrosiana, che può vantare giocatori come Meazza, Buoncuore, Ferraris ed una nostra vecchia conoscenza, Annibale Frossi, non capiranno niente e il Bari uscirà imbattuto da San Siro con uno spettacolare 2-2 dove Grossi non compare nel tabellino, ma c’è il suo zampino in ogni gol.

“Ninì” diventa subito titolare e amato da tutti, è un barese verace, è simpatico ma soprattutto è fortissimo. Ormai è titolare inamovibile, al Della Vittoria tutti impazziscono per lui e cartoline, foto e figurine sono ambite da tutti i bambini ed i tifosi in città.
Con il Bari gioca 46 partite, mettendo a segno “solo” 16 gol, ma la classe è unica e la sua partita forse più famosa si gioca contro la Lazio di Silvio Piola che viene umiliata per 5-1 e dove Cesarino, forte dei suoi 166 centimetri, decide di sovrastare, in alcuni contrasti aerei, Piola e Viani, che potevano vantare entrambi una statura vicina ai 185 centimetri.
Interessamenti ed elogi, però, non venivano solo dal capoluogo pugliese, anzi, giocatori del calibro di Varglien e Rava si complimentarono in pubblico per le sue qualità ma Cesare, umile come pochi, rispediva al mittente gli elogi con un secco “quelli vogliono prendere in giro la gente! Lasciamo andare: loro sono campioni sul serio!”. Ma quelle non erano prese in giro.

Bari capisce di avere in mano un gioiello e rifiuta qualsiasi offerta ricevuta per lui, anche cifre monstre come 400.000 lire, più del doppio del prezzo pagato dalla Lazio per Piola: Cesarino resta a Bari e basta. Forse.
L’Italia politica, nel frattempo, forte della sua “potenza militare” e con l’idea di espandere i propri confini, sotto l’ordine di Mussolini decide di invadere l’Albania, una nazione che avrà in futuro un rapporto di odi et amo con la città di Bari. Ninì è chiamato ad imbracciare le armi e combattere per la patria, un’esperienza che l’avrebbe reso ancora più forte e combattivo, ma che finisce in maniera tragica.
Ad oggi non si sa ancora cosa sia realmente successo. L’ipotesi ufficiale è “morto per un colpo di fulmine”, probabilmente lo stesso colpo di fulmine che aveva colpito spettatori e stampa dopo averlo visto in campo.